Essere madri: il piacevole viaggio sulle montagne russe delle emozioni
“Ho fatto un patto sai? Con le mie emozioni…
Le lascio vivere e loro non mi fanno fuori” V.R.
“Ognuno sa che cosa sia una emozione finché non gli viene chiesto di darne una definizione” (Fehr, Russel, 1984)
Definire cosa sia un’emozione può essere impegnativo. Le emozioni sono state oggetto e soggetto dell’espressione artistica in ogni sua forma e sono divenute argomento di studio scientifico a partire dalla fine del diciannovesimo secolo. Da allora la dicotomia “cuore-ragione” ha cavalcato le epoche incendiando gli animi e ispirando ideali e movimenti di ogni ordine e genere.
La danza tra emozioni e pensieri, ovvero la coordinazione tra sistema emotivo e sistema cognitivo, muove i propri passi seguendo due vie neurali differenti. Le ricerche e gli studi effettuati con le più avanzate tecniche di neuroimaging di Le Doux, neuroscienziato della New York University, ci mostrano l’esistenza di una base neuronale per l’elaborazione automatica e pre-conscia delle emozioni.
Che considerazioni ne possiamo trarre?
- Le emozioni sono una risposta immediata, non consapevole a stimoli percepiti interni o esterni a sé;
- Le emozioni si osservano già nel bambino piccolo nonostante “il cervello moderno” non sia sviluppato quindi hanno una importanza rilevante per lo sviluppo dell’essere umano;
- Le emozioni ci permettono di avere reazioni velocissime, in grado di proteggerci dal pericolo e, di conseguenza, di preservare la prosecuzione della vita. La loro velocità sfugge al controllo cosciente.
Queste caratteristiche che definiscono le emozioni tracciano una linea di confine tra emozione, sentimento e stato d’animo, termini che, però, vengono spesso utilizzati come sinonimi. Per quanto queste precisazioni possano apparire utili per gli addetti ai lavori in realtà sono un ottimo libretto delle istruzioni per ciascuno di noi.
Difatti possiamo trarne queste utili conclusioni:
- Innanzitutto che le emozioni e i sentimenti non durano per sempre: tutto è destinato a passare.
- Che gli stati emotivi che proviamo sono costruiti da noi: sono infatti determinati dal ripetersi di schemi di percezione e di conseguente reazione in termini di quantità ed in termini di intensità.
Tutto ciò ci deve rassicurare nel caso ci si trovasse sopraffatti da emozioni, sentimenti e stati emotivi negativi.
Ma facciamo un po’ di chiarezza: qual è la differenza tra emozioni e sentimenti e tra emozioni e stato d’animo?
Il sentimento, al contrario dell’emozione, non è qualcosa di immediato e rispondente ad una minaccia esterna ma implica una rielaborazione cognitiva che coinvolge le nostre valutazioni personali. Lo stato d’animo, invece, è determinato da una persistenza temporale di una emozione.
Immaginiamo una donna in dolce attesa, all’ottavo mese di gravidanza: la pesantezza della pancia, il gonfiore delle gambe e la fatica inizieranno a farsi sentire e a rallentare i movimenti ma, se la mamma dovesse inciampare, riuscirebbe comunque ad essere rapida nel coordinarsi al fine di evitare di farsi male. Grazie alla paura la mamma riesce a proteggere sé stessa e il proprio bimbo. Una volta scampato il pericolo, la mamma realizza il rischio corso, i possibili effetti e le conseguenze e, solo a quel punto, vive lo spavento: siamo in presenza di una rielaborazione che connette l’accaduto con il proprio vissuto personale.
Nel corso di un’esistenza possiamo affermare che l’esperienza della maternità e della genitorialità sia una di quelle più significative da scrivere nelle pagine del nostro romanzo personale. Si tratta di un’esperienza ricca di cambiamenti e che, pertanto, invita a ricaricare le energie per far fronte alle fatiche e a incrementare la propria flessibilità per gestire le evoluzioni determinate dallo sviluppo dei figli.
Dal giorno in cui si ha in mano il test di gravidanza positivo si apre un mondo che sprigiona emozioni in tutte le loro sfaccettature. Desiderio e paura, sorpresa e timore. Ha inizio così un grande viaggio di crescita personale come mamma e come donna.
Dopo il test di gravidanza interviene l’intelligenza della natura che fornisce all’essere umano nove mesi di tempo per abituarsi all’idea del cambiamento. Più il pancione cresce e il ventre modifica il proprio assetto per fare spazio al nascituro, più la mente della mamma impara a fare spazio alla novità. Una novità che può generare momenti di intenso piacere alternati a rabbia o frustrazione causati anche da un senso di “invasione” dei propri spazi. Si tratta di una reazione naturale, poiché, il senso primordiale dell’emozione della rabbia è proprio quello di difendere il proprio territorio quando questo subisce invasioni.
Il termine del percorso della dolce attesa coincide con un grande inizio: il parto, quel momento agrodolce in cui madre e figlio si separano per incontrarsi in forma nuova. Quindi il puerperio, il rientro a casa in un’identità ampliata: nell’arco di pochi giorni si diventa mamme, ma anche figlie, partner e amiche diverse. Quindi si inizia il percorso di conciliazione della vita precedente con la nuova forma familiare. Un costante mutamento costituito di inevitabili alti e bassi, delle montagne russe tra emozioni e sentimenti appunto.
Sono montagne russe da vivere anzitutto in sicurezza: se allacciare le cinture in modo troppo stretto potrebbe causare una sorta di soffocamento, lasciarle lasse ci esporrebbe al rischio di essere sbalzate fuori dai binari. Allo stesso modo soffocare le emozioni potrebbe bloccare il naturale fluire degli eventi mentre sfogarle nel modo sbagliato potrebbe metterci comunque in pericolo.
Come gestire dunque questi sali e scendi di emozioni?
- Lasciando che la corsa si compia e imparando a gestirle nella loro interazione con noi stessi e con il mondo;
- Allenando la capacità di riconoscere le emozioni dando loro un nome e distinguendole da sentimenti e stati d’animo;
- Nutrendo il piacere in modo “sano” e funzionale affinché sia il carburante della giostra in modo sicuro.
Stessa cosa vale per il piacere, da non confondersi con la “felicità”. Recuperare il piacere per una donna è essenziale per integrare i ruoli vecchi e nuovi in una cornice di senso biografico.
Il piacere è la linfa che permette di vedere “il bello” in tutto ciò che ci circonda. Questo non significa essere sempre felici. Anche il piacere, se è vissuto senza cinture di sicurezza, potrebbe essere esasperato e portare a forme di schiavitù e dipendenza. Allo stesso tempo se il piacere è negato conduce al deserto interiore e quindi a forme depressive o di somatizzazione.
Come evitare questo? Come evitare il deserto emotivo?
Concedersi piccoli piaceri è una ricetta segreta spesso difficile da attuare perché la fatica e l’incalzare degli impegni quotidiani ci inducono a rimandare l’appuntamento con noi stesse perché pare esserci sempre qualcosa di più importante e urgente da fare o perché gli stereotipi intorno al ruolo della madre non prevedono che per lei ci sia altro piacere che quello derivato dal prendersi cura dei propri figli e della famiglia.
A queste “imposizioni” dobbiamo rispondere con altrettante “trasgressioni”, cioè delle violazioni a norme, regole auto imposte, imposte dagli altri, dalla società o dalla cultura anche attraverso certi stereotipi. Concedersi un piccolo piacere significa, perciò, domandarsi “Che cosa avrei voglia di fare oggi solo per me?”. Non è sempre semplice trovare cosa ci piace perché si resta vittime delle proprie doverizzazioni. Esse sono tutte quelle leggi che ci auto imponiamo senza metterle in discussione, senza adattarle ai mutamenti che la vita ci impone e agli alti e bassi che incontriamo ogni giorno.
Mettersi in discussione e concedersi la libertà e il piacere di venire in contatto con le proprie emozioni è fondamentale per vivere un’esistenza piena, non solo attraverso l’esperienza della maternità ma anche in tutte le occasioni che la vita ci presenta, con i suoi alti e bassi, con le sue difficoltà e le sue soddisfazioni.
Vi voglio lasciare con una riflessione tratta da “Il profeta” di Kahil Gibrain:
“(…) Quando siete contenti
guardate in fondo al cuore
e troverete che soltanto
ciò che vi ha dato dolore vi dona la gioia.
Alcuni dicono:
“la gioia è più grande del dolore”,
e altri: “il dolore è più grande”,
in realtà sono inseparabili.
Essi giungono insieme
e quando una siede con voi
alla vostra mensa,
l’altro è disteso sopra il vostro letto.
Voi siete come bilance
sospese tra il dolore e la gioia.”
